sabato 4 novembre 2017



LE EMOZIONI SOCIALI E L'EMPATIA



Uno dei processi umani che caratterizza la socializzazione è l’empatia[1]. L'empatia si basa sulla consapevolezza delle emozioni, ed ancor prima, sulla loro imitazione espressiva. Imitazione che corrisponde al rispecchiamento. In particolare, il rispecchiamento inizia con il mimetismo motorio che, già negli anni ‘20, il Prof. F.B.Tichener, psicologo americano, aveva osservato nei bambini molto piccoli, anche di pochi mesi.
Essi, alla sua osservazione, nel vedere un altro bambino piangere lo mimavano, ossia facevano la stessa cosa, in una sorta di confusione tra il proprio dolore e quello dell’altro. Ecco perché egli lo definì mimetismo motorio.
A due anni e mezzo, però, questa modalità viene superata da modi espressivi di comprensione di ciò che l’altro sta provando: la sofferenza che il bambino esperimenta non è sua.
Martin L. Hoffman (1960), psicologo dello sviluppo presso la Università di New York, riporta i risultati di suoi studi su questo tipo di sentimento” empatico: sembra proprio che attraverso l’imitazione iniziale il piccolo riesca a cogliere e comprendere ciò che l’altro prova.

Lo sviluppo nel bambino della capacità di provare empatia è stato osservato presso il National Institute of Mental Health con studi condotti nel 1990 dalle ricercatrici Marian Radke Yarrow e Carolyn Zhan-Waxler.
I risultati di tali studi evidenziarono che l’empatia nei bambini si forma proprio nel momento in cui essi imitano ciò che vedono, apprendendo così un  repertorio di risposte empatiche. Dallo studio che le ricercatrici evidenziano è che sono proprio le reazioni emotive degli adulti.[2] a determinare la risposta empatica del figli. L’empatia risulta essere una esperienza opposta all’aggressività ed incoraggia lo sviluppo della intelligenza emotiva.
Vediamo ancora un altro approccio, quello della neuroscienza sociale[3] dell’Empatia. Un concetto che sembra seguire le definizioni di L.Brothers, psichiatra della California, che la ritiene come cognizione sociale.


Parlare di empatia per spiegarci come funzioni nella nostra vita e quali influenze eserciti sul nostro stato di salute, ci obbliga, ancora  una volta, a trattare della comunicazione non verbale ed emozionale, come modalità che permette agli umani di avvicinarsi e comprendere l’altro, al di là delle parole; sentendone le emozioni, riuscendo così a stabilire contatti profondi. Abbiamo visto che il linguaggio delle emozioni, ossia di come esse si esprimono, avviene attraverso il corpo e le espressioni facciali. Lo studio più esteso che lo psicologo di Harvard, R Rosenthal[4], nel 1965, ha compiuto sull’empatia, lo ha visto osservare le espressioni facciali ed il linguaggio del corpo riuscendo a misurare questa capacità di leggere i sentimenti dell’altro. Stabilendo così che la capacità di leggere i sentimenti altrui (empatia) permetteva di stabilire migliori rapporti con gli altri. Dai risultati dello studio realizzato su uomini e donne, sono le donne ad essere più capaci di provare empatia, poiché sono più attente alla comunicazione non verbale. 
Tuttavia, sono i bambini a tenere un primato sulla capacità di cogliere la comunicazione non verbale, con tutte le sue segnaletiche espressive e gestuali. Infatti, sono loro quelli  più capaci di cogliere le espressioni emozionali ed i messaggi non verbali con cui gli adulti interagiscono.
Da dove arrivi la loro abilità, sembra del tutto naturale: se pensiamo che nel rapporto con gli adulti che di lui si prendono cura, il bambino nei primi 3 anni di vita utilizza massimamente il linguaggio non verbale ed emozionale Egli è un esperto di emozioni, capace di gestire e controllare gli stati emotivi dell’adulto per ottenere vantaggi affettivi. D’altra parte, sappiamo che fin verso i 3 anni il suo sviluppo ippocampale, quindi della memoria di impegno e del successivo apprendimento del pensiero logico, non si forma.

Continuando il nostro percorso per scoprire come funziona l’empatia, consideriamo ora una ricerca che venne realizzata nel 1989, presso il California Institute of technology, dallo psichiatra Leslie Brothers e che gli venne pubblicata sull’ “American Journal of Psychiatry”con un articolo di grande interesse sulla «biologia” della empatia» [5]
Lo studioso rilevava un circuito costituito dall’amigdala con le sue comunicazioni-connessioni attraverso aree associative della corteccia visiva: circuito cerebrale che risultò essere fondamentale per il processo biologico dell’empatia.
Gli studi e l’analisi comparativa fatta sui primati, così vicini a quelli umani per i legami ”sociali” che sono in grado di costruire, dimostravano come questa forma di “comunicazione emozionale” fosse attiva anche per loro, all’interno dei loro processi sociali. Le regioni corticali dove sono concentrati i neuroni specifici per le emozioni, presentano un numero maggiore di connessioni con l’amigdala: le risposte appropriate arrivano grazie alla lettura delle emozioni che coinvolge il circuito tra amigdala e corteccia.

Lo studio sull’empatia, oltre che sui bambini, è stato realizzato attraverso l’osservazione di adulti in coppia. Questo tipo di rilievi sulla comunicazione del linguaggio del corpo, ha evidenziato come la sintonia e sincronia della comunicazione fisiologica ed emozionale seguono un rispecchiamento rilevabile attraverso l’osservazione delle coppie: dove in esse l’imitazione fisiologica era più “vicina e a “specchio”, i ricercatori riuscivano a correlarne i parametri e i ritmi fisiologici identici (battito cardiaco, la sudorazione, le espressioni facciali).
A compiere questo studio è stato lo psicologo Robert Levenson in collaborazione con Anna Ruef, presso la California University di Berkeley nel 1992[6].
L’empatia, quindi, si presenta come un modello relazionale oltre ad uno schema fisiologico, in risposta a processi evolutivi adattivi che ci permette di sentire una profonda vicinanza con gli altri; come anche di essere altruisti, altra qualità della nostra umanità.

 Quanto ci serve sviluppare competenze di empatia?
Tanto! Attraverso queste indagini, nella completezza dei settori in cui sono state realizzate, sappiamo che in qualsiasi ambito lavorativo, personale e relazionale, saper esprimere empatia verso gli altri ci permette di vivere una vita più ricca di relazioni e soddisfazioni. Da più punti di vista: in termini sia di salute psicofisica, sia sul versante della gestione dello stress. Infatti, per disporsi verso gli altri abbiamo necessità di stare in una condizione di calma e questo vuol dire che rispetto allo stress[7], lo stato di calma corrisponde ad una condizione di perfetto rilassamento, con basso consumo di energia. Tale condizione, in termini neurofisiologici corrisponde allo stato parasimpatico[8], con i caratteristici parametri corrispondenti alla distensione e al rilassamento.
Pensiamo, ad esempio, come il sistema parasimpatico, (unitamente al simpatico) regola l’attività sessuale. In questa regolazione, troviamo che nelle aree attivate tra cervello e sistema nervoso autonomo viene rilasciato l’ormone, “ossitocina”, detto anche l’ormone della maternità, perché serve a stimolare la produzione di latte materno. Però si è osservato che l’ossitocina viene prodotta anche dal cervello, in particolare, alle aree in cui essa viene rilasciato corrispondono attività sociali; dei rapporti e legami familiari; della coppia e della amicizia. Quando viene prodotta ossitocina, le connessioni tra neocorteccia ed amigdala viaggiano all’unisono, in perfetta sintonia; le energie impiegate sono basse; il dispendio dello stress ridotto; l’adattamento avviene a livelli di vantaggi alti e costi bassi per i relativi consumi.
Inoltre, scopriamo come attraverso simili modalità si sia arrivati allo sviluppo di un tipo di intelligenza sociale creativa ed associativa!

 Estratto dal libro Nutri*Ment*Azione,Il segreto della vitalità sta nelle difese psicologiche ed immunitarie insieme, da me scritto insieme all'Immunologo Angelo M.Di Fede.
Ed.AV, 2017.










[1] Cfr. D. Goleman, F.B. Tichener M. Hoffman R. Rosenthal, in Le radici dell’Empatia, cap.7, p.127; Intelligenza Emotiva 1995; ed.it. Rizzoli 1996
[2] Le due ricercatrici sono citate in D. Goleman, Intelligenza emotiva nel cap. Radici dell’Empatia pg.127
[3] La neuroscienza sociale dell’Empatia- T.Singer e Clauss Lamm, trad.G.R.Gabbard,https://el.unifi.it/pluginfile.php/63534/mod_resource/content/1/La%20neuroscienza%20sociale%20dellempatia.pdf
[4] Ho trovato un’accurata trattazione sullo studio di R. Rosenthal e sulla comunicazione non verbale in M. Pagni, La comunicazione autentica, 2008, Apogeo.
[5]  A biological perspective on empaty di Leslie Brothers, in American Journal, pubblished online: April 2006; citato anche in A Preti , Il terzo escluso. psicopatologia del rapporto con l’altro” 2006,

[6] R. Levenson citato in “Le radici dell’Empatia” da D. Goleman, Intelligenza Emotiva, 1996
[7] Lo stress attiva la risposta di adattamento con le relative produzioni di adrenalina e di cortisolo, tipiche dello stato simpatico, opposto a quello parasimpatico.
[8] Il sistema parasimpatico costituisce l’altro sistema, opposto a quello del simpatico, alla sua attivazione viene  rilasciato l’ormone ossitocina. Il loro equilibrio costituisce l'attività di regolazione degli organi interni da parte del sistema nervoso autonomo, un sistema automatico che prescinde dalla nostra volontà.














[