giovedì 25 luglio 2013

RIFLESSI DI PSICOLOGIA QUOTIDIANA: IL "CUORE" CI PRESERVERA'





RIFLESSI DI PSICOLOGIA QUOTIDIANA
 IL "CUORE"...CI  PRESERVERA'

Carissimi, ben ritrovati e dunque, rieccomi qui a parlare di emozioni, sviluppo emozionale e dell'intelligenza sociale.L'area delle emozioni e dell'intelligenza sociale rappresentano il nostro futuro...Il cuore ci preserverà.
Un concetto fondamentale dell'area emozionale che voglio esplorare e farVi conoscere, è relativo alle emozioni e alla energia di cui esse sono portatrici.Se le emozioni sopraffanno "la concentrazione" (in neuroscienze viene definita "memoria del lavoro", ossia l'abilità di ricondurre tutte le informazioni relative al compito in cui ci stiamo impegnando), la vita mentale" salta". I sentimenti possono invadere letteralmente tutti gli altri pensieri, arrivando quindi a sabotare ogni tentativo di prestare attenzione a quello in cui siamo impegnati. Infatti, l'amigdala (parola dal greco il cui significato è mandorla) che si trova nell'area limbica, area primitiva del nostro cervello, è la responsabile per così dire di questo "sequestro": la paura, la percezione di pericolo vengono avvertiti, come accade quando scatta un allarme nella casa per una presenza pericolosa. Quando essa, l'amigdala, segnala, irrompe attraverso i circuiti dell'area limbica che affluiscono alla corteccia pre-.frontale,area nuova del nostro cervello, detta anche dell'intelligenza sociale, dove ha sede la memoria del lavoro: è così che questa viene "sabotata!"

Ecco perché, dunque, è importante EDUCARE i sentimenti. Conoscerli e riconoscerli, differenziandoli dall'azione, per guidarli ad una diversa "comprensione" che non sia lo sfogo del sentimento che irrompe e  cattura l'attenzione alle cose; distrae e fa perdere il controllo di sè, con tutti gli effetti gravi che trascina...
Una fonte interessantissima di queste conoscenze ci deriva dal lavoro del Collega americano Daniel Golemann con il suo bel libro "Intelligenza emotiva", con il grande contributo della ricerca di discipline quali la Psicologia Sociale, Psicologia dell'Infanzia, delle Neuroscienze.

Riconoscere le emozioni ed i propri sentimenti, dispone all'auto-consapevolezza dalla quale si passa poi verso l'empatia. L'empatia deve essere considerata come chiave di accesso alle buone relazioni con gli altri;l'auto-empatia quella con se stessi.
 Questa chiave di accesso alla sintonia emotiva con se stessi e con gli altri, è presente nei bambini sin dai primi mesi di vita: è solo un inizio di questa capacità emozionale che venne definita dal suo primo studioso Titchner, negli anni 20, come "mimetismo motorio", per il quale essi sanno imitare la sofferenza altrui. Dai due anni e mezzo, invece, diventano capaci di sentire empatia ( empatheia dal greco è "sentire dentro"): la parola venne utilizzata dai filosofi estetici, che la riferivano alla capacità di percepire l'esperienza soggettiva altrui. L'empatia scaturisce dall'imitazione della sofferenza altrui, che poi mette in grado di sentire i sentimenti imitati. A due anni e mezzo il bambino riesce a distinguere tra il dolore altrui ed il proprio, riuscendo, poi, a dare conforto agli altri. 

Questa abilità viene preparata, o anche allenata, attraverso la sintonizzazione. Grazie alla lunga osservazione delle interazioni e sequenze tra bambini e madri/genitori, è stato possibile scoprire come sia presente una vita emotiva basata su scambi ed interazioni che sono detti "sintonizzazione": attraverso l'interazione e gli scambi di sguardi, madre e padre comunicano al figlio che percepiscono i suoi sentimenti. Sintonizzarsi non è semplicemente imitare, quanto cogliere e rispondere al movimento emozionale del piccolo, facendolo sentire compreso.

Ciò lo porterebbe così a sviluppare una scala emozionale, una gradazione di stati emotivi, per  la quale egli stesso imitando successivamente, e ben presto, le emozioni e sentimenti altrui, di grandi o piccoli, sarebbe poi in grado di sentire le emozioni. Nell'osservazione veniva richiesto alla madre di aumentare la ricerca di queste interazioni: ebbene, questo aumento, un eccesso dunque, esattamente come una interazione diminuita, comportava nel bambino una perdita di questa gamma emozionale, verso una trascuratezza emozionale. Sino a condurlo ad evitare di provarle, perciò a disintonizzarsi con se stesso. Da queste ricerche sappiamo, dunque, l'utilità nel perseguire programmi per lo sviluppo di queste aree emozionali, che non sono semplicemente investimenti sociali, ma la più profonda ricchezza e salute/benessere di un sistema sociale. 

L'esperienza che i colleghi americani ci trasmettono, unitamente ai risultati di studi multidisciplinari ed internazionali realizzati alla luce dell' attuale conoscenza raggiunta, devono diventare un modello praticabile per gli enormi guadagni e vantaggi del sistema sociale. Sappiamo che le emozioni si possono sia apprendere, sia ri-apprendere. E' questo il passo da seguire, ed anche che esso venga poi integrato puntando sulla prevenzione nelle scuole. E' ben noto che già dalla scuola dell'infanzia e poi elementare,l'aggressività o la timidezza sono già segni di un' area emozionale carente. I primi 4 anni di vita, secondo i dati che la ricerca ci trasmette, da quella delle Neuroscienze, a quella di Psicologia dell’infanzia e sociale, sono anni determinanti del futuro sviluppo emozionale: gli studi applicati ai programmi scolastici sottolineano il "ruolo dell'intelligenza emotiva" in quanto" meta-abilità": attraverso essa siamo in grado di sviluppare tutte le altre capacità mentali potenziali. Il periodo dell'infanzia è il tempo in cui si determina lo sviluppo delle emozioni, il periodo di tirocinio sociale del bambino: perché non impegnarsi a favorirlo con tutte le azioni praticabili e possibili?

Perchè no?

Dalla Vostra AnnamariA


Che effetto Vi fa questa lettura? 
Che emozioni e riflessioniTi fa provare? Lasciami un Tuo commento. 
La Vostra AnnamariA



 




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giovedì 18 luglio 2013

SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE: LIBERIAMOLE PAROLE




SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE
LIBERIAMOLE PAROLE

 Cari Amici, 
potrà essere, questo, un post veramente speciale? Lo spero!
Perchè voglio parlare delle parole, e dell'uso che ne facciamo. Oggi, poi, ancora più forte l'esigenza di ripensarle, le parole!  "Liberiamole parole"è,secondo me, la necessità di svuotarle di quel pesante fardello che le "svuota". E le riempie facendone macigni!

Starete pensando ad un errore!? In effetti sto "sforzando" il modo in cui le adoperiamo. L'obiettivo è quello di imparare a svuotarle per riempirle di nuovo, in modo che riprendano ad avere un senso...quando ormai sembra che non abbiano più senso! Non è così? Quante volte le parole si distaccano dal nostro vissuto? Vengono fuori separate dai nostri pensieri o, peggio ancora, dai nostri sentimenti, in contraddizione addirittura con essi!
Le parole possono essere coltelli o ali di farfalla,  secondo l'uso che ne stiamo facendo, per esempio in un momento della nostra vita, di fronte ad una scelta, ad un insuccesso.Quando il sentimento, prevalente ed immediato, deve trovare espressione oltre sè, attraverso la parola. I sentimenti e le emozioni non hanno lo stesso suono della parola: vi si avvicinano, cercano corrispondenze, ma non sono della stessa sostanza. E le parole, il posto che occupano nello spazio- luogo delle nostre energie sentimentali, fanno differenza, incidono o pesantemente o al contrario, lievemente; in relazione al posto nel quale le poniamo, sulla base dei loro accenti, sulle sequenze entro cui si trovano ordinate. E cosa dire dei punti di domanda?I punti interrogativi! Quanto spesso sono lì, al nostro angolo di quella sensazione, di quella emozione che "sbraccia", che è tanta. Ed invece quel punto non l'abbraccia...l'abbatte, l'abbassa, Mortificandola! Eh, si! La parola è macigno e devasta, distrugge: inizia come un suono, un fonema innocuo, lì dall'alto del nostro pensiero: come la slavina inizia il suo percorso in discesa, a  valanga. Ma, può anche, al contrario, liberarsi in volo, lievemente e poi, sempre più verso l'alto della nostra leggerezza dell'anima e dell'energia del corpo. E' a questo che aspiriamo nel viaggio di vita, esplorando percorsi sempre più scelti, come viaggiatori convinti, in cui rendere libere le parole; alleggerendole lungo le nostre vie del cuore: prendendole per mano lì, da quell'alto dei nostri percorsi mentali; lungo le discese dei posti cui le assegniamo, nelle sequenze entro cui le definiamo, con gli accenti che diamo loro. E quei punti interrogativi!Cosa dire di quei punti di domanda?

Liberiamole parole è un progetto, un sogno, un'aspirazione. Vi ritornerò prestissimo. E chiedo, come sempre a Voi, di commentare.

La Vostra AnnamariA 





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mercoledì 17 luglio 2013

VITA PRATICA IN AZIENDA: 1+1 FA 3

VITA PRATICA IN AZIENDA

1+1 FA 3
Cari Amici, voglio condividere con Voi un piccolo, interessante, evento che a me ha fatto molto riflettere. Potremmo trovarci in una qualsiasi azienda di un qualsiasi settore di mercato, se non fosse, tuttavia che i fatti che Vi riporterò, in particolare, sono accaduti in un'azienda agricola, tra un allevatore ed un suo collaboratore egiziano.
Un giorno, il nostro allevatore, probabilmente, seccato dal fatto che il suo collaboratore non rispettava le regole e le modalità richiestegli nella tenuta delle attività di stalla, decide di trascriverle in lingua egiziana. Compila, così, una lista che attacca all'anta di un armadietto, in un'area della stalla, e contenente gli effetti personali del suo dipendente. Decisione saggia, penseremmo? Ciascuno di Noi, già qui, si sarà fatto una sua idea sull'azione fatta dall'uomo: chi starà pensando che è stato rispettoso perchè ha usato la medesima lingua del collaboratore straniero; chi non penserà la stessa cosa; ed altri, forse, riterranno che sia lo straniero a dover leggere l'italiano se è qui in Italia che lavora! Forse...
E comunque sia, quanto avessimo sostenuto, dati i fatti che, di seguito, sto per riportarVi, dovremmo essere disposti a cambiarlo o a metterlo in discussione! Perchè? E perchè no?
In breve: dopo qualche giorno, secondo il racconto fedele degli eventi, l'allevatore si ritrova sullo stesse armadietto, davanti al quale lui stesso è obbligato a passare per muoversi in stalla, una  lista, scritta in italiano, sulla quale legge tutte le condizioni che il suo collaboratore gli  ricorda essere i presupposti per aderire a quelle regole che lui gli ha chiesto di rispettare. Se considerassimo un dialogo tra i due, sentiremmo l'operatore dire 
" D'accordo, io le regole le rispetto e tu, mi dai le condizioni perchè io possa farlo?"
Occhio per occhio, dente per dente? Vi ricordate?Ci potrebbe stare, no? Considerare che "chi di spada ferisce, di spada perisce"...! O no? No! Io mi chiedo se lo sforzo di entrambi ad usare l'uno la lingua dell'altro, cosa che ci fa pensare ad un' azione di integrazione"naturale(io mi avvicino al tuo mondo!) e reciproca" ( lo fai tu con me ed io lo faccio con te), risulti la cosa più immediata di tutta la storia. E se poi, dulcis in fundo, come dicevano i nostri latini, sforzassimo noi stessi il futuro, immaginando che... "Una bella mattina il nostro allevatore chiama il suo collaboratore egiziano; magari seduti davanti ad un caffè( turco o italiano che sia, questo sarebbe un ulteriore passo ancora), e gli dice apertamente, viso a viso, cosa si aspetta da lui; perchè quelle regole e procedure rappresentano una qualità, sia del suo lavoro (dell'egiziano), sia del risultato che lui come allevatore vuole ottenere; aspettandosi anche qualche domanda o richiesta dell'altro, come ulteriore passaggio verso un accordo.
A tal proposito, brevemente vorrei ricordarmi da Treccani la parola accordare che è derivazione di cor cordis "cuore"; nel sign. 2. a, raccostato a corda] (io accòrdo, ecc.). - accomodarsi, (fam.) aggiustarsi, conciliare (non sarà difficile a. padre e figlio; a. due partiti opposti, due idee contrarie; a. la fede con la ragione; a. le controversie, ecc)

 In questa situazione, nel senso effettivo della parola, dovrebbe confrontarsi e aggiustarsi con l'altro sulle condizioni che questi gli richiede per aderire,a sua volta, alla richiesta. Impegnandosi, quindi, a valutare che anche l'altro punto di vista, la seconda versione; le ragioni del collaboratore, devono trovare luogo e spazio.E che entrambi, soltanto così, otterranno il meglio. D'altronde, "se do spazio a te, apro il mio, di spazio".
E se, infine, per completare l'opera, decidesse di mettere il suo collaboratore in condizioni di valorizzare le sue capacità /bisogni di apprendimento e gli facesse fare formazione-aggiornamento professionale (quali sono le nuove informazioni/strumenti che gli possono permettere di lavorare "meglio" ed in qualità?), gli darebbe la spinta "motivazionale". 1+1 fa 3! 

Che cosa ne pensate? Vi è piaciuta questa pagina racconto? 
Attendo un Tuo commento ed anche frammenti di Vostre/Tue esperienze di questo tipo. 

A presto. La Vostra AnnamariA


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lunedì 15 luglio 2013

UNO SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE: UN VIAGGIO PARTICOLARE

UNO SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE
UN VIAGGIO PARTICOLARE

Cari Amici, eccomi ancora con un evento del tutto personale, ma che posso riportare come un esempio di un'esperienza legata ad una rappresentazione. Nel post ultimo dell'8 Luglio ho approfondito il tema delle rappresentazioni e chi di Voi volesse recuperarne brevemente memoria, anche dopo, lo potrà confrontare coon questo di oggi.In effetti, al di là di ciò che mi colpisce o emoziona, lo considero come un confronto molto diretto ed immediato anche con le Vostre esperienze. Quante volte vi sarà successo quanto vi apprestate a leggere del mio racconto?
Qualche giorno fa, per ragioni di lavoro, mi sono dovuta recare a Reggio Emilia, che da Modena dista una ventina di kilometri. Preciso che non conosco molto bene Reggio Emilia, se non per averla frequentata da sempre, ossia da circa una ventina d'anni, per motivi di lavoro strettamente legati ad un posto specifico, per esempio la fiera, piuttosto che un'azienda, piuttosto che un ristorante!
Arrivata all'indirizzo giusto, dopo aver ripercorso alcune volte il parcheggio che ruotava intorno ai palazzi in stile moderno, dai vetri specchiati,appena scesa dall'auto, mi sono sentita trasportare in un altro luogo e tempo. Solo dopo qualche secondo, ho associato quella sensazione che sembrava di deja vu, al suono avvolgente delle cicale che mi avevano accolta appena il mio passo si era immerso nel percorso. E quel loro suono così insolito, mi aveva riportata a qualche anno prima, a Mazzara del Vallo, in una giornata calda di Maggio di una Trapani che,appena arrivata, avevo riconosciuto come di chi vi ritorna, senza mai averla incontrataun luogo mentale
Quelle cicale , in quella controra con la luce d'ambra, che vibrava di onde;il profumo della terra, rossa e compatta; e il mio sguardo che abbracciava la distesa di palme nel cielo azzurro dell'entroterra. Il vento caldo mi prendeva il respiro con una sensazione di apertura dello sterno che dai miei sensi aveva preso corpo quando, arrivata davanti alla tenuta agricola dove ero attesa, mi ero lasciata guidare da una specie di fluido, volgendo così lo sguardo verso un palazzo di architettura ottocentesca. Quella era stata dimora di Tomasi di Lampedusa, l'autore del Gattopardo: l'emozione ora mi prendeva l'addome, e mi ubriacava, mentre gli occhi cercavano le palme secolari che, tutte intorno all'ampio viale antistante, s'alzavano maestose in quel cielo di un azzurro mai visto prima!  
In quell'attimo presente realizzai di essere esattamente là! Ora ero in quel luogo in cui i miei occhi riprendevano come tele-obiettivi ogni dettaglio e lo flitravano, riportandomi il profumo, le sensazioni, il cicaleccio che mi attraversava come musica.Un fluido magico rendeva parallela la mia esperienza: ero nel 2013 in una città emiliana, mentre in realtà mi trovavo nel 2003, dieci anni prima, in Sicilia. Mi sentivo leggera, leggerissima come davvero stessi volando!
In breve sbrigai la questione che lì mi aveva portata.
E poi tornai indietro e, nel riprendere la strada, decisi di non ritornare per autostrada: in effetti non lo decisi, quanto, invece,  mi trovai a sapere  di averlo deciso proprio perchè la mia guida sicura, familiare come non poteva esserlo di quei luoghi, in realtà mi dirigeva diversamente per le vie interne!
E quel fluido magico, ancora una volta, mi riportò indietro nel tempo: così, lungo la via del ritorno dentro alla campagna emiliana, con le belle case immerse tra distese colme di campi biondi di grano, ad un certo punto entrai nel percorso di un altro pomeriggio profumato di sole; i miei occhi inondati di luce che abbracciavano la terra rossa di Trapani e le sue saline che nel riverbero mi arrivavano come piramidi in costruzione; mentre le pale dei mulini dismessi mi saltavano all'occhio come fossero in movimento!
E vedevo le chiome degli alberi mosse dal vento caldo che mi inondava il respiro, mentre mi sentivo come da bambina sulla giostra. E quella piazza che accoglieva il mio passo, d'improvviso, divenne il centro del mio cuore: ero piccola e camminavo a fianco di mia madre, nella piazza del paese di Afragola, nell'entroterra di Napoli, in un pomeriggio di una calda estate partenopea.
I miei sensi pronti, rapidamente, elaboravano rappresentazioni compatibili: ero in due diversi luoghi della mia esperienza percettiva. Non era una magia; non era un'allucinazione! L'esperienza percettiva che i miei sensi attraversavano, era contemporanemente quì e là: da quì mi riportava là, mentre le mie rappresentazioni cambiavano la geografia dei miei luoghi sentimentali e, così, delle mie emozioni.
Infine, venendo via da quella giornata  e da quel viaggio particolare, in risposta ad un'alterato senso  del tempo trascorso, mi ritrovai a ricercarne uno non segnato dalle ore di un orologio! Era luce. Era stata luce, quel tempo! Che aveva inondato la mia giornata, tra passato e presente, come magico fluido che non percepisce nè passato, nè futuro. Ma, solo presenza! 


Vi è successo di vivere un'esperienza come la mia?
Aspetto un Vostro commento...e risponderò.

La Vostra AnnamariA

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lunedì 8 luglio 2013

MANUALE SULLA LIBERTA': Ma la luna esiste se io non la vedo?

MANUALE SULLA LIBERTA'
Ma la luna esiste se io non la vedo?

Ben ritrovati, carissimi, con questo approfondimento che voglio fare su un tema per me non solo interessante in quanto mio oggetto di studio e di lavoro.Soprattutto, mi è caro perchè la nostra intera percezione di mondo si gioca sulle rappresentazioni. Questo delle rappresentazioni implica totalmente la nostra vita, le nostre relazioni, i nostri bisogni e sogni: anzi, li segna e caratterizza, rendendoli appunto la nostra vita, intendo la mia, la tua, la vostra. Ma vi siete mai chiesti come mai un evento unico diventi nel racconto di persone diverse differente ogni volta?
Fondando sui suggerimenti di Epitteto con il suo manuale, riusciamo ad interrogarci e a convenire in modo molto semplice ed immediato sul fatto che "poichè le cose non passano direttamente alla nostra conoscenza,quanto al giudizio che noi emettiamo sulle cose stesse", noi ce le rappresentiamo. Oltre all'esperienza diretta, in effetti, io e Voi esprimiamo un giudizio sulle cose: ed è questo giudizio che prevale, rappresentandoci così la cosa stessa.
"Cosa è che mi turba? Il mare? No, il mio giudizio". 
 Qualsiasi turbamento, la tristezza, le difficoltà che incontriamo nel corso di vita, dipendono dal nostro giudizio;  è ad esso che dobbiamo attribuirne la responsabilità. Non ricercandola negli altri, o quando invece nella sfortuna o all'esterno di noi.
Se dobbiamo sentirci responsabili, lo dobbiamo del nostro uso delle rappresentazioni.
Proviamo dunque a sciogliere insieme questa sorta di enigma"la luna esiste se io non la guardo? "Se il mio giudizio nega la sua presenza, allora essa cesserà di essere al mio sguardo, perchè sarà piegata dal giudizio che io avrò espresso su di essa. Ma se io piegherò il mio giudizio su di essa, allora la luna si svelerà con tutto il suo fascino al mio stupore!"

Mi chiedo semplicemente quanto questa visione della responsabilità, a questo punto diventata molto dinamica e fattibile per l'abilità che si dispone alla nostra risposta, riesca a toglierci pesantezze  e ci "obblighi" ad affrontare ciò che noi pensiamo, crediamo, attribuiamo, a quanto ci sta accadendo. E' in questo che possiamo esercitarci a "cambiare" lo sguardo", ossia il giudizio.
Che cosa ne pensate di fare un pò di allenamento in merito? Volete scovare i vostri giudizi su qualcosa o qualcuno che vi dà da fare...? Ora, provate a rivedere questi giudizi?

Aspetto, dunque, un vostro, un tuo contributo, lasciando un commento o diretto, o al mio ind.posta elettronica.

A presto, dalla Vostra AnnamariA


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giovedì 4 luglio 2013

UN MANUALE SULLA LIBERTA' RIFLESSI DI PSICOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

RIFLESSI DI PSICOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

Un Manuale sulla libertà...
Cari Amici, ben ritrovati! Stavolta ho pensato di voler brevemente riportare alcuni passaggi di un Manuale molto interessante ( quello a cura e commento di Pierre Hadot ve lo consiglio!) di un filosofo stoico, Epitteto, vissuto nel periodo 50-130 d.C.
 Il manuale di Epitteto è uno dei testi più conosciuti della filosofia occidentale. Trovo che questo testo, definito come trattato sulla morale, ma che si occupa della libertà e dell'imparare a diventare filosofi, possa riguardare tutti noi, anche nel gesto più semplice del quotidiano, o rispetto ai comportamenti verso gli altri o se stessi.

Un fondamentale del Manuale di Epitteto, che ritengo attualissimo e calzante sulle nostre vite, è relativo alla distinzione tra ciò che dipende da noi , da ciò che invece non dipende da noi. Epitteto così scrive:
 E ciò che dipende da noi sono il giudizio di valore,l'impulso ad agire, il desiderio, l'avversione e tutti quelli che sono  i fatti nostri. Non dipendono da noi il corpo, i nostri possedimenti,le opinioni che gli altri hanno di noi, le cariche pubbliche e tutti quelli che non sono propriamente i fatti nostri.
 Epitteto invita l'aspirante filosofo, ed oggi io penserei a ciascuno di noi che non debba necessariamente esserlo o volerlo diventare, ma che voglia, invece, assumersi un proprio modo di libero ragionamento, di libertà di pensiero e di parola libera, sottraendosi a forme di influenzamento e di ricerca di consenso(quanto spesso?) "Il testo si apre ad una interessante proposta di riflessioni: ad esempio:

"Se credi che le cose che sono in schiavitù siano libere e le cose che ti sono estranee siano tue, ebbene, sarai ostacolato nell'agire, sarai inquieto e triste, ti risentirai con Dio e con gli uomini. Se invece pensi che sia tuo solo ciò che è tuo, allora sarai libero, nessuno potrà costringerti, non rimprovererai più nessuno, non farai nulla contro la tua volontà, non riceverai danno da alcuno".
" Le cose che dipendono da noi sono per natura libere, senza impedimenti e senza ostacoli; le altre, al contrario, sono in uno stato di impedimento e ci sono estranee".
La riflessione cui conduce Epitteto è sulla scelta da operare: se vorremo cose elevate, non potremo accontentarci di piccoli sforzi, ma invece, dovremo impegnarci molto. Così come dovremo rinunciare ad alcune cose di queste elevate, o anche riviarne qualcuna: darci dei limiti, modulare l'azione  e lo sforzo, insomma! Distinguere nella disciplina del giudizio:

"Quando avanzerà una rappresentazione dolorosa, esercitati a completare questa idea dolorosa pensandola non come tale non sono il mio dolore, ma come penso a me addolorato. Inoltre, esercitandoti poi a distinguere di quell'esperienza ciò che dipende da te, distinguendolo da quello che non dipende da te, potrai esprimere un giudizio equilibrato, perchè se la cosa non dipende da te, allora non riguardandoti, cesserà di impegnare le tue forze".
Dunque Epitteto già ci parla di "rappresentazione"!
Bene, la riflessione diventa sempre più familiare, coinvolgente e pertanto, aspetto di approfondirla al prossimo post.  
                                      
Cosa ne pensate di tutto ciò?
Vi ritrovate a considerare le cose se non così, in modo simile?
Con un Tuo commento potremo approfondire anche insieme le cose!

A presto. La Vostra AnnamariA


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