domenica 30 giugno 2013

UNO SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE Ho "sognato"Margherita che diventava una stella! E con lei...

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 UNO SPECIALE POST PER UN POST SPECIALE
Ho "sognato" Margherita che diventava una stella! E con lei...

E' morta una astrofisica importante! Margherita Hack, che ha tracciato il mondo dell'astrofisica italiano ed oltre, è stata la prima donna italiana a dirigere l'Osservatorio Astronomico di Trieste dal 1964 al 1987, portandolo a rinomanza internazionale, definita la signora delle stelle. E così l' l'ho immaginata, d'improvviso, in una dimensione onirica: il suo corpo che si trasformava in una massa stellare e si librava in volo, verso il firmamento. Stavolta, mi sono detta, una stella è salita, mentre di solito scende: perchè cadono, le stelle, non è così forse nella notte di S.Lorenzo, l'11 Agosto? 
Piccola fantasia la mia, o immagine di sogno?
Oltre alla parola, poi ho forzato il pensiero, ed ho rivisto questa donna nella sua pienezza di persona, al di là della sua immagine, una donna dalle sembianze comuni, ma fuori dal comune, proprio perchè non faceva affidamento che sulla sua persona. Vera, se stessa sempre, in qualsiasi intervento o intervista, con il suo accento toscano, la parola ironica pronta, senza trucchi e senza filtri. Una persona straordinaria perchè era se stessa. Sempre, anche prima dei suoi 91 anni. Atleta e ciclista appassionata, a 85 anni fece il tragitto Trieste-Grado e ritorno. Mi chiedo cosa sia la vecchiaia...Invecchia l'entusiasmo di vivere? Mette le rughe?
Riporto l'intervista de il Fatto Quotidiano (di oggi) ad Andrea Satta, leader del gruppo "Tetes des bois" . 
"Solo Margherita avrebbe potuto interpretare il fantasma di Alfonsina Strada, l'unica donna ciclista che nel 1924 si spacciò per uomo pur di poter partecipare al Giro d'Itaia."
Margherita Hack, infatti, nel 2010, aveva accettato di interpretare il video della loro canzone" Alfonsina e la bicicletta."
E poichè è vero che si cresce anche attraverso buoni esempi (possiamo pensare che i riferimenti sociali non agiscano soltanto nell' apprendimento della prima infanzia, teoria dell'apprendimento osservativo di Bandura[1964],  ma che la nostra formazione sia continua all'interno dei contesti sociali), mi sono pensata per il futuro di poter contare su me stessa come ho visto fare a lei!Un modello a cui ispirarmi... Studiosa impegnata, di grande spessore, Ella ha ricoperto ruoli significativi ed importanti, ricercando il brillore di sè attraverso l'invisibilità formale del corpo e la visibilità della sua persona. O per meglio dire, attraverso la visibilità del suo corpo, della sua pelle, delle sue rughe, dei suoi capelli canuti, offerti a garanzia di un valore oltre all'immagine di sè. La sicurezza di sè come persona si fondava su tutte queste imperfezioni perfette.
Poi, la mente mi ha riportato ad altre presenze femminili, imperfette e straordinarie: la prima di una cantante jazz, non so dire quanto famosa,  grandiosa per la sua voce! Era la voce femminile, insieme ad un'altra, del Palm Court Jazz All Stars", lei, Topsy Chapman! Scoperta fatta lì per lì, in una magica serata estiva, quando leggemmo su un cartellone di uno spettacolo serale, gratuito. Una vera fortuna!
Di tutta quella magnifica e lontana serata musicale ho ancora chiarissimo, nitido, il gesto di Topsy al suo gruppo di musicisti, all'inizio dello spettacolo: entrata in scena, il corpo appesantito e dolorante, data la lentezza dei suoi movimenti ed una certa contrazione della schiena che balzavano all'occhio...
"Ed eccola attaccare il pezzo che si appresta a cantare, col dito indice rivolto ai musicisti. Il suo attacco che si trasforma nel nostro attacco...Un grandioso messaggio di forza ed energia, di presenza prorompente, racchiuso in un semplice movimento del dito".                                
Fu favolosa, mentre cantava con quella voce potente, emozionante, diventata "presenza corposa" che influiva su tutto il pubblico, obbligando persone vestite di tutto punto, a perdere forma, a battere il tempo con le mani, o qualcuno intorno a me, che io ricordi, compunto e serio, a battere il piede seguendone con trasporto entusiastico il ritmo travolgente. Gente diversa, di colore diverso, arrivati lì dal richiamo di quella serata magica!
"Anche allora pensai, mi ricorderò di quanto poco possa bastare fuori, quando dentro si è tanto! Il tempo non può nulla sulla passione, sulla carica di energia che dal valore di sè trapassa, si trasferisce nei luoghi e sulle persone: un calore vibrante che abbraccia e richiama".
Poi avanza Clara, una donna che conosco da molti anni, una figura preziosa, che  co-gestisce una comunità di Bologna. Quando la si incontra ci si accorge che lei è una presenza, oltre alle sue forme. Un corpo appesantito, ma intero e vitale. Il viso dal sorriso pronto, disposto; di lei colpisce subito lo sguardo, franco, diretto, aperto. Sa dire qualsiasi cosa al momento giusto, con le parole giuste, ma senza risparmiare alcuna critica. Non si lascia mai fregare, come dice lei, mai sfidare; tiene a distanza, direi, sebbene pronta ad accogliere, ad essere generosa; se stessa, senza filtri, senza finzioni, coraggiosa. 
Non ultima, Colette, infine! Non ultima, quanto semplicemente agganciata al filo mentale che mi si srotola in questo tracciato di presenze potenti, iniziato da un brillore di stella.
Colette è una donna discreta, paziente, sempre sorridente. Ha una compostezza ed eleganza in un corpo di 76 enne che cura con un'alimentazione mediterranea, consapevole; unitamente al gran lavoro fisico che fa, impegnata com'è, dalla mattina alla sera, nell'accudire la sua casa che condivide con il figlio. Da un paio d'anni ha rinunciato a tingersi i capelli, accogliendo con gradualità il biancore che è avanzato come neve sulla sua testa: questione di salute! Lei, che ha fatto la sarta tutta la vita, ha un motto persistente "andare avanti" ed è una grande ascoltatrice. Mi ha svelato, una volta, che quando faceva la sarta aveva adotatto una politica dei prezzi "su misura": ai clienti che potevano pagare bene chiedeva prezzo pieno, seguivano costi con prezzi scontati, fino a qualche caso in cui, se valutava una situazione di difficoltà in cui la persona versava, soprattutto se presenti bambini, decideva di regalare il lavoro svolto.  
Mi accorgo  che un filo sottile lega queste mie presenze mentali, affettive, rispetto al valore personale, per e con gli altri, che ciascuna di queste donne ha sprigionato attraverso la biografia, autentica ed originale che ne ho tracciato. Un filo tessuto negli intrecci di vite e presenze così diverse, a partire da una fantasia onirica su Margherita e poi, dipanatasi attraverso Topsy, Clara, Colette.
Presenze che permangono, chi nel ricordo, chi nel presente, riferimenti brillanti e vitali. Sotto il vestito? Tutto! 

Un vostro commento è molto apprezzato! Cosa pensate di questo spazio libero "speciale post per un post speciale"?

 A presto 
La Vostra AnnamariA


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del 07 Marzo 2001. Inoltre le immagini pubblicate sono quasi tutte tratte da internet e valutate di pubblico dominio. Qualora il loro utilizzo violasse diritti d’autore scrivete una mail al seguente indirizzo annamaria.agnano@gmail.com e le immagini in questione verranno immediatamente rimosse.

giovedì 27 giugno 2013

LE CONVERSAZIONI COMPLICATE: Quando le cose semplici...diventano complesse!




"CONVERSAZIONI COMPLICATE" 


Quando le cose semplici...diventano complesse!

  3° PARTE



Ascolta Le mie Parole in rete, Audioblog di AnnamariAgnano, clicca il link qui sotto!

  http://youtu.be/CanlPbo4JW8

I sentimenti, all'interno della propria rappresentazione della situazione, sono diventati  drammatici. Intanto, se siamo in una condizione dilemmatica, come abbiamo analizzato, essi sono cresciuti sotto la spinta doppia: da un lato, del sentire l'esigenza che essi vengano esposti, riconosciuti, ma poi, dall'altro, nascosti ed evitati; cosa che dà loro una intensificata esasperazione. Infatti, se ci pensiamo, affermare e negare nello stesso tempo, crea una sensazione di paradosso confusivo. Pertanto, da soli abbiamo aggiunto uno stato di confusione a ciò che sentivamo, così da peggiorare le cose!

Poi, dobbiamo fare i conti con il senso di colpa: cosa abbiamo sbagliato se siamo messi così? Dove abbiamo mancato se sentiamo questa sospensione- malessere-disagio? E presi, catturati dai contenuti, sui quali ci interroghiamo, come se facessimo vere e proprie inquisizioni interne, evitiamo di realizzare che in quel momento più ci facciamo domande, più rispondiamo alle domande, più ci facciamo domande se rispondiamo. Come E.Kant ci invitava a considerare, nelle domande sono implicite le risposte, così, quelle buone funzionano; ma, nello stesso modo funzionano anche quelle cattive! Si innesca così un meccanismo paradossale che ci crea una sorta di vortice nel quale il sentimento non può che essere di angoscia,con effetti appunto vorticosi.

Consideriamo che è il meccanismo in sè a costruire l'angoscia. Fermiamolo, blocchiamolo! Inchiodiamolo!

Utilizziamo il silenzio come risposta! 
Il filosofo greco, Epitteto, di cui Vi suggerisco di leggere il testo illuminante" Manuale di Epitteto" che è un "magnifico"  trattato sul senso di responsabilità, apporta rilievi interessantissimi sul senso di colpa, suggerendoci di sospendere "le certificazioni" legate ai nostri giudizi interni. 

Chiediamoci, invece, quali siano i messaggi che i nostri sentimenti ci stanno inviando!
Esattamente come un messaggero, l'emozione elaborata è un conduttore di informazioni sul nostro stato delle regole e dei valori in gioco nella situazione che stiamo vivendo con l'altra persona.  

Decidiamo, quindi, di trovare nella conversazione con l'altro, lo spazio per rendere pubblico il sentimento, dichiarandolo e scegliendo di esprimerci in prima persona" Questo è il mio punto di vista, la mia versione...che può non essere vera per te...ma ora puoi considerarlo..." (la parola considerare viene dal latino "sidus-sideris"; e "con" che vuol dire unione, ha significato di "stare con le stelle: "stare dall'alto (dell'aver studiato)" che era riferito agli àuguri, sacerdoti latini che leggevano il futuro ed avevano il compito di studiare, capire il rapporto tra le cose, scoprire la verità)!


I sentimenti,le emozioni, una volta che trovano luoghi di accesso costruttivi, cessano di essere paradossali. 
Potreste mai pensare che "arrabbiarvi" aumenti la rabbia? Dico questo perchè nella nostra cultura, esiste, riconosciuto con valore di forte credenza, che "sfogarsi" serva a stare meglio! Ed invece è esattamente il contrario...Questo è totalmente falso, per come funzioniamo e per le influenze che il linguaggio, verbale e non verbale, ha sulle nostre emozioni: infatti, più ci arrabbiamo, più aumenta la rabbia!

La rabbia è come la slavina giù per la discesa, che diventa valanga a valle! E' questo meccanismo che "condiziona" il senso che stiamo attribuendo ai fatti, alle cause ed effetti, alla persona e a quanto pensiamo che lei pensi secondo ciò che noi pensiamo!

Prendere consapevolezza di ciò, fa sì che il cambiamento diventi realistico!
E questo è di nostra totale responsabilità! Ossia, una abilità di risposta diversa ci attende!Proviamo a "cambiare la parola": responso ed abilità diventano nuovi termini della situazione.La respons/abilità è una opportunità: 
#cambio il mio sentimento perchè lo rendo pubblico all'altro;
# lo comunico come mio, del tutto personale, perchè è legato alla mia versione delle cose; 
#divento abile e determino un cambiamento del mio stare. Infatti, così sto meglio.  Ho"autenticato"( ossia reso valido, come la parola mi suggerisce, nell'unico possibile luogo con l'altro), il dialogo, che nella sua derivazione dalla parola greca, sta per conversare con l'altro.
Ecco, infine, la conversazione è diventata semplice perchè finalmente è stata portata in relazione alla conversazione con l'altro; ed era difficile e complicata, perchè tentavamo di affrontarla nel chiuso della nostra soggettività, in dialogo interno. Una logica che serviva a costruire la complessità!

Come va? Cosa pensate nel riconsiderare le cose nella visione che vi ho svelato? 
Riflettete e fatemi sapere con vostro commento!

A presto.
La Vostra AnnamariA


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domenica 16 giugno 2013

CONVERSAZIONI COMPLICATE: Quando le cose semplici diventano complesse



"CONVERSAZIONI COMPLICATE" 


Quando le cose semplici...diventano complesse!

2° PARTE


Ascolta Le mie Parole in rete, Audioblog di AnnamariAgnano, clicca il link qui sotto!

http://youtu.be/M3ddEIRecMc

  
A questo punto affrontiamo il nocciolo della questione: qual'è la posta in gioco? Cosa rende complessa la situazione?

Il come si affrontano i propri sentimenti, le ragioni personali; il valore che "pensiamo" di quella situazione: di noi;  dell'altro; delle conseguenze. Ed i fatti accaduti sono non direttamente quello che è avvenuto, ma quello che si reputa importante di ciò che è accaduto! Cosa che, evidentemente, non può che essere soggettivo: infatti, ha a che fare con quello che io, tu e voi, pensiamo abbia un valore che noi gli attribuiamo.
Tutti "contenuti" (ed intendo il che cosa) significativi" che "rappresentiamo" nell'esperienza che in quel momento, come singoli, nella traccia e percorso biografico" che ci contraddistingue(la nostra storia, gli eventi dolorosi o brutti e quelli belli che abbiamo vissuto; ciò che crediamo essere "buono"; "cattivo"; "giusto"; "ingiusto", il valore che attribuiamo; anche con le sensazioni che sono collegate ed avanzano.
(Se vi chiedessi in questo momento di tracciare rapidamente un tratto della vostra biografia, un evento o episodio infantile o dell'adolescenza; della famiglia, o della scuola, a quale immediatamente la vostra mente vi porterebbe?)
 
Ciò che ignoriamo non è che non stia accadendo
Mentre siamo catturati da queste scene,  tendiamo a perdere lucidità sul campo,quindi  siamo facilmente pronti a distrarci e quindi, a  perdere pezzi di informazioni che ci arrivano dal nostro ambiente, esterno ed interno. Ciò che sentiamo ci destabilizza: ossia le sensazioni, rispetto a quanto pensiamo senza riferimenti precisi oggettivi, ma solo soggettivi, infatti, in quel momento usiamo pregiudizi senza conoscere le cose in modo empirico.

E' come quando un regista gira le scene di un film: allo stesso modo, entrare in dialogo con sè aziona scene mentali, ma solo mentali, prive, cioè di una verifica fatta attraverso una concreta interazione sociale.

Qualcosa complica ulteriormente... Quest'azione rimane sospesa nell'atto, ma di fatto "come se avvenisse nella mente": questo, anche se non comunicato nella parola, passa attraverso la nostra comunicazione non verbale; il corpo ed i suoi gestI; la mimica facciale, quindi tutte le espressioni del viso, la postura che il corpo assume. Il respiro che abbiamo in quella postura.
 Di fatto, è ciò che accade nella nostra comunicazione umana(che implica una comunicazione verbale e non verbale che indica il linguaggio del corpo e le modalità del linguaggio).
Sebbene non si dica, quello che sta accadendo nella propria esperienza, virtuale, all'esterno trapela. Trapelano i sentimenti, le emozioni, quindi l'aggressività se in quel momento è il rispetto che si pensa come violato; oppure l'ansia se è il timore o la paura ad entrare in scena. 
Anche questo serve a stabilire una relazione. Ma tutto avviene fuori dall'azione di sè con l'altro.

La conversazione, in questo modo, diventa a due livelli: uno è quello delle parole dette; dei contenuti espressi; il secondo è del non verbale, della relazione, dove trovano spazio i sentimenti implicati, sia di sè, sia relativi all'altro; le rappresentazioni di sè e dell'altro. Non verificati, non espressi sul piano della interazione agita.
Questa conversazione di relazione viene comunque trasmessa, a se stessi, dentro; all'altro, agli altri, fuori, ovviamente in modo ambiguo, contrastante, nel caso specifico. E' tutto questo che costruisce complessità:è così che le cose semplici diventano complesse!

Proviamo a rompere queste associazioni complesse(?) che, a questo punto, sono diventate drammatiche ( drammaturgico viene definita la teoria del "controllo delle impressioni" del sociologo E.Goffman che unitamente al Modello del Costruttivismo e della Pragmatica della comunicazione umana di P.Watzlawick; della Programmazione neuro-linguistica, di Grinder e Bandler, sono i riferimenti teorico- metodologici sui quali baso le mie scritture). 

Una prima "rottura"della complessità sta nel ri-formulare che "le cose o i fatti umani" non accadono in quanto tali! Ma sono, invece, percezioni soggettive ed interpretazioni di quanto avvenuto.
Rimanere, pertanto, sulla posizione rigida rispetto a quanto accaduto o che deve ancora accadere, come se quella fosse la posizione del giusto, piuttosto che della "ragione", stabilisce che la regola del gioco sia "far avanzare la verità"... ma quale verità?
(Vedi post "Menzogna o verità del 26 Maggio).
Mettiamola piuttosto come" far emergere i punti di vista: è così, infatti, che indaghiamo i fatti in una visione costruttiva ed evolutiva.Quindi"riconsiderare" i fatti, riportandoli a "quello che io ho percepito in quella situazione".Mettere in dubbio, in crisi, "un giudizio" sui fatti, ci predispone ad una "visione"; ad una ri-formulazione che tiene conto dei differenti punti di vista oltre al mio! (C'è la mia versione; c'è una seconda versione dell'altro).

Sui sentimenti... un vero tabù!  Evitarli appare la cosa migliore che si possa fare? No? Meno se ne parla, meno si affrontano, più ci si tranquillizza!
I sentimenti hanno sempre ragione! Tuttavia (può sembrarvi strano?), se non valutati e considerati, possono diventare "molto forti e drammatici".Pensate alla rabbia! Cosa succede quando provate rabbia?
La rabbia è una palla di neve a valanga, che ci travolge lungo la discesa...
"Perchè provo rabbia? Cosa c'è dietro ad essa?   
Quali cose mi messaggia?"
Sapere accogliere, fare auto-empatia, ossia non giudicarsi per ciò che si sente, essere disposti ad entrare in crisi" per conoscere il propri sentimenti è importante, toglie"kili" di malessere. Anche se le cose finissero semplicemente con questo passo verso l'auto-chiarimento!

Ma, esplorare emozioni e sentimenti (vedi post Cambiamento ed Emozioni...del 7 Maggio 2013) apertamente con l'altro, dichiarandoli, rende del tutto semplice. " Sono preoccupato perchè...ho paura che se...", apparentemente una fragilità. Invece chiarisce, toglie le ombre, allinea la comunicazione dentro con quella fuori; il verbo e i gesti. Aumenta la vicinanza con l'altro ed incrementa la fiducia.

Vi è successo spontaneamente di aver affrontato in questo modo? Almeno quella volta?
Vi siete ritrovati in questo mio contributo?
E cosa ne pensate? Vi sembra fattibile o è impegnativo?

Spero nei vostri commenti-risposte.
E, per approfondire l' ultimo passo del tema che sto sviluppando, dato l'interesse che penso esso meriti, vi do appuntamento al prossimo post.

La Vostra AnnamariA


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giovedì 13 giugno 2013



"CONVERSAZIONI COMPLICATE" 


Quando le cose semplici...diventano complesse!

1° PARTE
Se vuoi ascoltarmi, clicca il link! In"Audioblog di AnnamariAgnano Le parole in rete"

 http://youtu.be/muQV91M0XNM

Cari amici, 
ho deciso di trattare un tema che mi sta assai a cuore e che penso, correggetemi se sbaglio, stia a cuore anche a voi. Infatti, questa volta vorrei considerare con voi un'esperienza che, molto probabilmente, voi stessi vi siete trovati o vi trovate a vivere con le persone con cui tutti i giorni lavorate, vivete, più o meno, strettamente a contatto.
E mi riferisco alle conversazioni che tutti i giorni "tessiamo" per mille ragioni nelle relazioni: dal chiedere scusa; al fare una critica; dal dire di no; all'esprimere un  disaccordo in un contesto di maggioranza; dopo aver assistito ad una conferenza. In tutte le circostanze; al lavoro, con il vicino di casa; con il coniuge o la compagna, con i figli, si cercano o si evitano le "conversazioni complicate": esse toccano il vivo delle interazioni nella relazione. E' questo il vero problema!

A cosa mi riferisco quando parlo di conversazioni complicate?
Questa esperienza è così ripetitiva nel corso della giornata e nelle situazioni in cui la posta in gioco è alta, un valore o il rispetto di sè; in situazione di dubbio ed incertezza. E che riguardi la richiesta di un aumento, di un confronto; di un giudizio che pesa.
In cui il valore di sè è messo alla prova, il rispetto per sè sentito come violato. In tutte queste condizioni possono trovare terreno fertile le conversazioni complicate. 

Perchè dico"conversazioni complicate"?
Cosa vuol dire complicate, vi starete chiedendo...
Complicate si riferisce a complesso, il che significa che cose semplici finiscono col diventare difficili. E la complicazione fa presto a nascere, nel momento in cui, nell'uso del linguaggio formale e verbale, noi tendiamo ad omettere, escludere ossia, i sentimenti che in quel momento sono coinvolti in quello che  sta succedendo; ed i pensieri, il valore e le credenze su di sè, sull'altro, sulle cose importanti; generalizzando e contando sul nostro punto di vista, solo e soltanto soggettivo.

A quel punto è come se si aprissero due diverse conversazioni, la prima esterna con quello che sta accadendo; la seconda, dentro se stessi, per la quale si sente; si parla con se stessi; si affronta la cosa, ma parallelamente, in modo completamente falsificato rispetto alla prima.Anche in una condizione paradossale.

*Vorresti criticare l'azione di un amico, ma temi che se ne parlassi apertamente, lo potresti ferire.
*Vorresti dire al tuo capo che ti senti svalorizzato nella mansione che stai svolgendo e che pensi di poter fare cose per cui ti senti di valere di più.
*Senti i colleghi che parlano male di un vostro collega, ne sei turbato e taci.
*Stai iniziando un rapporto di collaborazione di lavoro con un professionista, pensi che sia una bella opportunità e quando egli fuma in tua presenza, violando la tua salute, tu non osi dire nulla....ma stai malissimo.
*Nella riunione di condominio non esprimi davvero il tuo disappunto.
*Pensi che tuo figlio, ormai cresciuto, stia sbagliando, vorresti avanzare una critica per il suo bene, e poi rimandi ad un altro giorno.
*Sei offesa dall'insensibilità del tuo lui/lei: dovrebbe sapere ormai che cosa ti fa piacere, ma se non lo chiedi espressamente, lui/lei non prende iniziative!

Cosa fai in queste situazioni? E quanto diventano  dilemmatiche?
In tutte queste situazioni in cui la posta in gioco è alta, perchè in gioco ci sono i sentimenti che proviamo noi, quelli dell'altro con cui siamo in relazione; in più, quello che pensiamo e che ha a che vedere con ciò che pensiamo e crediamo e che ha a che fare con la nostra identità; con chi pensiamo di essere e che vorremmo venisse riconosciuto anche esternamente, dall'altro.
Ne parlo oppure sto zitto? E che succede se affronto?
Magari aspetto domani...oppure può darsi che sia lui/lei che, avendo forse capito, dovrebbe farlo se mi ama...ma,affronterà la cosa?
Spesso, spessissimo, questo dialogo interno che sosteniamo, diventa un problema ancora più grande, per cui tacere significa peggiorare, rispetto a quanto si pensava di far male facendo qualcosa per affrontarlo. 
Perchè non puoi tacere a te stesso!
In fondo sai bene che devi affrontare il tuo collega. Parlare al capo. Dire a tuo marito che non va più bene. Chiarire con il tuo amico... Sai, cioè che a stare zitto peggiori, perchè ogni volta che le cose si ripetono, la ferita si riapre...però, speri che la prossima volta, forse, le cose cambieranno ed intanto, affrontare ti fa veramente paura per le conseguenze che potrebbero esserci. Infatti, sembra giusto dire ciò che veramente si pensa, che sta a cuore, perchè in quel momento ci si sente vittima di un sopruso, di un'ingiustizia. Tuttavia, il parlarne, chiarire le cose, potrebbe aprire un conflitto e quindi far finire il rapporto; ferire l'altro, offenderlo.
Cosa fare in queste situazioni di blocco? E cosa veramente sta succedendo che complica?

Mi fermerei qui, dato la forma che sta prendendo, credo: risvolti che vorrei approfondire. E spero anche di poterlo fare con il contributo vostro, che, tengo sempre a dire, quando  c'è  e ci sarà, mi permetterà ancora meglio di fare questo blog... PERCHE NO? 

A presto
dalla Vostra AnnamariA 




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martedì 11 giugno 2013

QUANDO AFFIDARSI AD UNA BUONA PSICOTERAPIA


RIFLESSI DI PSICOLOGIA QUOTIDIANA 


                   

Quando affidarsi ad una” buona psicoterapia"


Chiedere aiuto oggi non è sicuramente semplice, anzi può diventare molto complicato, per chi soffra di un disturbo psichico o disagio psicologico che limita e condiziona la sua persona, la vita e le relazioni. 

Infatti, lo scenario  delle professioni di aiuto si presenta intricato, in quanto, con la liberalizzazione delle professioni, diventa necessario equipaggiarsi per distinguere tra le differenti figure e professionalità attuali capaci di dare risposte adeguate!

Qual è la differenza tra queste figure e cosa deve sapere chi soffre  di disturbi d’ ansia, o del sonno, piuttosto che sia afflitto da disturbi psicosomatici, o ancora che si ritrovi a vivere con il panico! Chi si senta depresso o  ancora sia nel pieno di un conflitto relazionale; quando non si trovi a fronteggiare un conflitto lavorativo

Occorre da subito sapere che la figura del counselor è diversa da quella dello psicologo e dello psicoterapeuta.
Nel nostro scenario italiano, così come regolato, il counseling è un approccio all'ascolto della persona che nella professione psicologo è stato e viene praticato come prassi psicologica. 


In un qualsiasi momento di vita la persona può trovarsi a provare confusione o indecisione relative ad una scelta da fare; oppure a decidere un cambiamento. In tutte e due le situazioni, laddove la percezione della persona è di non avere le necessarie risorse, si ricorre al counseling.
In tal caso, il counseling  implica l'ascolto: non viene  fatta  una cura psicoterapeutica, caso in cui si rendono necessarie competenze ed abilità specialistiche specifiche; e nemmeno una diagnosi di un disturbo.
Attualmente la pratica del couseling viene fatta anche senza una laurea in psicologia, da operatori che attraverso un percorso li porta a sviluppare tecniche di ascolto attivo utili per affiancare la persona.

Lo psicologo è un professionista laureato ed abilitato ad esercitare la professione, iscritto all’Albo degli psicologi: è in grado di fare una diagnosi attraverso strumenti psico-diagnostici;di usare parola e tecniche riconducibili alla teoria di sua formazione. 
Pertanto è in grado di praticare il counseling; ma non di fare psicoterapia.

Lo psicoterapeuta è un laureato e specializzato con una formazione quadriennale, abilitato quindi all’uso di metodologie e strumenti terapeutici specifici, relativi alla scuola di formazione di provenienza, sul Modello delle psicoterapie, quali quella psicoanalitica, cognitivo comportamentale; sistemica; breve strategica. Non prescrive farmaci e tuttavia,  in alcuni casi, opera unitamente con lo psichiatra combinando la psicoterapia con la psicofarmacologia.
Sulla base della formazione e dell'approccio psicoterapeutico,uno psicoterapeuta può essere in grado di affiancare percorsi di counseling; coaching e training di cambiamento orientato allo sviluppo di abilità.


Il luogo spazio di una psicoterapia efficace: come riconoscerla. Lo spazio terapeutico prevede una alleanza terapeutica, uno spazio conoscitivo, un orientamento terapeutico comunicato e condiviso; dopo di che, sulla base del modello di riferimento esplicitato, (oggi e' normativamente previsto che lo psicoterapeuta proceda per un consenso informato, specificandolo oltre al segreto professionale già garantito in virtu' del codice deontologico che lo ispira e regolamenta). La persona viene guidata attraverso un protocollo indicato dal terapeuta, sulla cui base vengono definiti veri e propri obiettivi con:

# una buona messa a fuoco del disturbo;
# delle sue caratteristiche e di come si evidenzi e viene vissuto
# attraverso domande guidate che conducono entro un percorso rivisitato del problema.

Nel ripercorrerlo, per esempio nell’approccio strategico breve, la persona viene guidata con  una modalità di dialogo volta a districare risposte verso un percorso sempre più in sintonia con la sua rappresentazione percettivo-sensoriale elaborata, e sin dalle prime sedute, ci si potrebbe stupire nel sentire che il terapeuta sembra sapere esattamente come stanno le cose! 
La scoperta e' un altro elemento fondamentale ed anche un momento verità, ossia non semplicemente ascolto del terapeuta in quanto "fonte" veritiera; certo,ci si dovrà affidare alla sua conoscenza in quanto esperto! 
Ed oltre, tuttavia, in una fase del percorso, una psicoterapia efficace permette di poter esplorare, misurando se stessi con quegli attrezzi che il terapeuta dispone, per muovere un'esperienza concreta o predisporre ad essa, come a misurarsi con essa e con se stessi"integrati"da quelle modalita' innovative terapeutiche
Conoscersi, quindi, attraverso un'esperienza correttiva e nuova rispetto a quella precedente, per scoprirsi e riscoprirsi attraverso nuove risorse, mai conosciute sin a quell’esperienza di sé rinnovati.

Questa esperienza innovativa sarebbe una "ristrutturazione". Il risultato sarebbe esattamente come per la ristrutturazione di una casa di cui vengono conservate le parti buone ed aggiunte altre nuove, che valorizzano il tutto in una bella e solida struttura nuova ed integrata! Arrivati a questo punto della terapia, lo psicoterapeuta guida alla ripetizione di queste modalita' nuove  per favorire il mantenimento del risultato conseguito, sino ad abilitare  un nuovo confronto tra la idea o rappresentazione di sè passata e la nuova attuale; raggiungere la consapevolezza di aver superato una rigidità relativa al disturbo ed ai suoi effetti di disagio, con la sensazione che le cose non sono piu' come si pensava prima. 
Come se si fossero cambiati gli occhi!  
Spesso accade che la persona lo dichiari apertamente, usando il tempo imperfetto” sentivo che non ne sarei mai uscito”. Oppure confrontandosi con se stesso di ieri rispetto a quanto, oggi, sta sperimentando di sé, in modo del tutto differente. 
Qualche giorno fa, un  giovane uomo arrivato con un quadro d’ansia severo, dopo alcune sedute, riportava questa rappresentazione del suo vissuto attuale” mi sono guardato come se fossi dall’esterno, come avessi un terzo occhio e mi sono quasi preso in giro da solo per come in quel momento e da quella posizione, trovassi assurdo quelle sensazioni che prima mi avevano intrappolato, gettandomi nella più totale depressione!”
La fase della "visione"

E siamo in una fase finale del lavoro terapeutico, con la super-visione del terapeuta,quando si arriva a consolidare e a cognitivizzare l’esperienza esplorativa praticata:# a rileggere il lavoro svolto, 
#a rivederlo come da spettatori/spettatrici di un film del quale si è stati  protagonisti,# ma anche co-registi nell'intreccio del tempo-spazio terapeutico.*

Il linguaggio con se stessi ora fluisce, gli strumenti vengono padroneggiati. La visione si è allargata.
Ci si sente oltre! E lo sguardo è più disponibile ad andare a cercare, a correggere e a confermare il nuovo, ad incorporarlo. Sino a sentirselo come sempre più familiare... 
Una familiarità che, naturalmente, dovrà essere misurata nel tempo attraverso la fase del controllo.  
Un tempo di controllo stabilito e definito per  monitorare il mantenimento ed il risultato raggiunti.



Il vero viaggio di scoperta
non è vedere nuovi mondi,
 ma cambiare occhi.
 Marcel Proust        

                               



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