mercoledì 16 novembre 2016

"MANGIAMO CIBO...o EMOZIONI?"


"MANGIAMO CIBO... o EMOZIONI?"


COSI' VEGETARIANA DA VOLER ESSERE UNA PIANTA (da Il Fatto Quotidiano libri attualità 16 novembre 2016)

Stamattina aprendo le news dai quotidiani, dal Fatto quotidiano, vedo un articolo di F. Musolino relativo ad  un romanzo "La vegetariana", storia di una donna che capovolge la sua vita pur di non mangiare carne. A scriverlo, la sudcoreana Han Kang che ha vinto il Man Booker Prize. 
Il libro è stato pubblicato in Italia da Adelphi e tradotto da Milena Zemira Ciccimarra.

Poco o per nulla sorprendente, vero, questo titolo ai nostri tempi in cui tanto si parla di alimentazione?
Ed inevitabilmente, ogni volta che sento parlare e scrivere di alimentazione e di cibo, io chiarisco che Noi " mangiamo con gli occhi…Oppure sentiamo l'acquolina in bocca dal profumo che ci arriva ai sensi. Emozioni
Già! Noi mangiamo con le emozioni che quel cibo ci riporta alla relazione che abbiamo stabilito da lontanissimo, nel grembo materno...al suo seno dopo e dopo ancora, quando le relazioni "a tavola" ci formano.
Ossia, siamo legati al cibo attraverso la relazione ed il legame emozionale,  dal momento che noi siamo esseri " simbolici ". O meglio: noi percepiamo oggetti, mondo e relazioni in modo simbolico. Per fare un esempio, mi piace dire: " Un cane sceglierebbe mai tra una bistecca rossa ed una bianca?" No evidentemente… Ma noi umani si! Per diversi motivi...emozionali e relazionali..."Mi piace perché"..."non mi piace perché" ...Il gusto della scelta?Il valore verso cui ci ispiriamo...La coerenza con "CHI" pensiamo di essere, della nostra IDENTITA'. 
 proprio per la nostra modalità, così variegata, di relazione per la quale ci "rappresentiamo" qualsiasi cosa ed esperienza di essa, attraverso una modalità affettiva..."Mi piace...non mi piace." 

Per tornare al romanzo "La vegetariana" ,l''autrice racconta di una donna che capovolge la sua vita pur di non mangiare carne. Yeong-hye, questo il suo nome, in breve tempo si trasforma:  da che brava moglie  (evidentemente, in un contesto culturale sudcoreano),   cambia completamente e radicalmente la sua vita: dopo aver fatto un sogno! Da lì in poi ella rifiuterà decisamente di mangiare carne,  nemmeno di cucinarla o anche toccarla: destando scalpore e indignazione sia nel marito, sia nei suoi familiari increduli. Questi ultimi, non capendo il senso della sua scelta, saranno sconcertati e travolti...

Quello che mi interessa e che mi porta a proporTi questo post, è la psicologia della scelta del rifiuto da parte della protagonista. In realtà vi è un rifiuto molto più profondo, affettivo emozionale, simbolico, perciò, di una cultura " violenta, offensiva ed indignitosa " rappresentata dal cibo, in questo caso. Di fatto, ella rifiuterà anche di truccarsi, di apparire ed essere parte di un sistema che non può più garantirle alcun valore del senso del proprio sé, della propria umanità
Cogliendo questo spunto per una riflessione interessante, nell'oggetto cibo- carne non v'è soltanto il ricorso ad una alimentazione sana, vigorosa e salutare, che nella nostra cultura attuale è largamente richiamata.(allevamenti intensivi; utilizzo massiccio di antibiotici; animali fortemente stressati etc.) in qualche momento eccessivo, se non "alla moda". Soprattutto paradossale, quando si parla così tanto di alimentazione sana, di biologico e, dall'altra, il controllo che ciascuno di noi può fare è assai relativo data la complessità di un sistema mercato che ha rotto le regole del gioco. 

Di più ancora, sviscerando il tema,il  rifiuto del cibo è il rifiuto simbolico per la protagonista a voler essere parte di una cultura crudele violenta, in cui ella, la sua umanità non può più esprimerla... Ed ecco, quindi, questa scelta estrema: la protagonista smetterà di nutrirsi come sempre ha fatto, arrivando a mangiare a stento sino a desiderare di diventare una pianta per potersi nutrire solo di aria, senza più nuocere  ad alcuno.  L'autrice "dice che questa scelta simbolica della sua protagonista in realtà riguarda la sua necessità di opporsi alle emozioni violente della nostra società: è chiaro che non possiamo nutrirci di aria e diventare piante". 
Tuttavia, è importante fare scelte anche dolorose per smettere di non potersi esprimere in tutte le necessità della propria umanità; del proprio senso di sé e di quello che in psicologia sociale e positiva viene detto" senso of control": che semplicemente vuol dire trovare senso nel poter prendersi cura e cuore della propria vita, delle scelte per migliorasi, potendo controllare gli eventi.
Ed esprimere il "senso di coerenza", un  senso profondo che ci tiene uniti ed "integri": la vera libertà! Quel senso di coerenza che A.Aaron Antonowsky, sociologo clinico,  svilupperà 
nell' 'approccio della salutogenesi*: come la possibilità per l'essere umano di saper sviluppare le risorse di sé; i fattori della salute e quando, in circostanze dolorose della malattia, di potersi riappropriare di questo senso profondo, assumendo la centralità del prendersi cura. 

In fondo, che cosa veramente vale attualmente nella nostra vita? Quali "valori ci nutrono? Quali emozioni "mangiamo"?
 Il cibo dunque, ancora una volta,ci richiede la necessità di approfondire gli aspetti emotivi ed affettivi della nostra vita. Nasciamo "nella relazione"con l'altro, nel corso della nostra formazione nel grembo materno (quanto gli studi attuali ci mostrano la relazione tra la madre, il suo contesto relazionale ed il feto) ; poi dopo, nel gruppo famiglia contesto in cui ci formiamo. Le abitudini alimentari sono già le abitudini relazionali e del "posto" che  in esse noi occupiamo e nelle quali ci esprimiamo.E poi nei luoghi sociali che ci nutrono attraverso le relazioni...Quali e quante? 
 Quando e se, per estremo, non riusciamo più ad esprimerci, allora ci deprimiamo. 
Di che cibo dunque, vogliamo, possiamo nutrirci?

Continua a seguirmi:)

* Puoi leggere di Salutogenesi nel post:http://annamariagnano.blogspot.it/2015_09_01_archive.html