sabato 18 maggio 2013


RIFLESSI DI PSICOLOGIA QUOTIDIANA

FEMMINICIDIO ED OLTRE:  UNA PROFONDA LACERAZIONE SOCIALE


Già diversi anni fa, i colleghi psicologi americani si erano preoccupati per la loro società civile dati i crimini violenti ed efferati che segnalavano un profondo malessere emozionale (suicidi, omicidi, abusi di droghe).Sin da allora, essi suggerivano la necessità di prestare crescente attenzione alle competenze emotive e sociali degli adulti e dei giovani; gli stessi colleghi sentivano di essere presenti a tale attenzione, sia come esperti, sia perchè essi stessi genitori.

Possiamo pensare che oggi siamo noi, qui ed ora, a doverci preoccupare per la società civile del nostro paese?
Le cifre sulle uccisioni delle donne sono un fortissimo indicatore di una profonda e violenta lacerazione del tessuto sociale italiano. Un anno fa, rispetto al numero di omicidi "femminili", la giornalista  e scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti, segnalava quanto l'uso della parola"femminicidio" potesse depistare. La radice della parola"femmina" si prestava ad essere elemento di distrazione; quasi a ridurne la pesatura di gravità dell'atto in sè. Cosa possibile se si fosse riportato un omici-odio di genere, perciò stesso più etichettabile e quindi maggiormente tollerato! 
Questi omicidi ci feriscono tutti! Perchè dobbiamo chiederci se sono femminicidi o se sono anche indicatori,visibili ad occhio nudo,di una violentissima crisi della nostra società:segnali forti di una progressiva disintegrazione della nostra stessa comunità. Non è più e soltanto un conflitto privato e personale. Riguarda, invece, la nostra società civile in quanto ci segnala un conflitto strutturale; ci mostra il fallimento di quello che alcuni colleghi definiscono  "tirocinio sociale"; e più ampiamente, dello scardinamento delle nostre modalità nel fare sistema sociale. Se pensiamo che le attuali e gravi problematiche economiche ed occupazionali richiederebbero sforzi verso l'aumento della integrazione e cooperazione; verso la compattezza sociale e delle relazioni questo odio, violento ed armato, ci indica che, al contrario, c'è una profonda sofferenza strutturale della relazione con se stessi e l'altro da sè, dentro ad una rete più complessa, sociale.

Possiamo considerare che la grande ferita sia proprio la relazione. Tra esseri umani e con sé stessi: consideriamo gli ultimi fatti violenti relativi agli omicidi, ai suicidi e non solo quelli dei disoccupati;quelli degli imprenditori, ma anche quelli della "rinuncia" a relazioni sane, potenziali impossibili da realizzare perchè intrappolati entro schemi distruttivi.

Alle separazioni violentemente"inseparabili" da relazioni che si nutrono di risentimento e di punizioni reciproche o quand' anche, di una prassi istituzionale più ampia disconnessa, che dovrebbe guidare a superare la coniugalità verso la genitorialità; con figli colpiti di fatto, e separati da una serenità "di diritto".
Genitori anche sotto pressione per questioni economiche, occupazionali; separati o no, che dimostrano un disagio nel porsi come figure referenti ed autorevoli. Quando essi stessi genitori di una cultura narcisista, troppo attenta ai bisogni dei propri figli, ispirati e favoriti dal modello di una sotto cultura del successo televisivo o dell'immagine, che tende a farne consumatori divorati e divoranti.
Quando, poi, troviamo adolescenti imprigionati in un agonismo con se stessi, con il proprio corpo che va sfidato per essere perfetto; verso aspettative alte di sè. Senza limiti! Ma anche senza confronto reale. Il collega psicoterapeuta, G.Pietropolli Charmet, esperto di adolescenza, parla di una "generazione di narcisisti"; "spavaldi e fragili". Un mondo adolescente quindi, che sembra ritirarsi dentro al proprio disagio;avvolto in una ripetizione di sè e in una fragilità che diventa orizzonte al proprio sguardo. Reso incapace di svilupparsi attraverso l'altro e verso la propria comunità che si disgrega, oppure lo disgrega. Pensiamoli, quando si richiudono in branco per  cercare il conflitto istituzionale; con la scuola, la famiglia. Trasgressivi e violenti, pronti a colpire per sanare un vuoto, o per goderne in modo perverso.

E cosa pensare di una depressione sempre più sociale?
Un collega americano, Michael D. Yapko che ne è specialista, ha scritto un interessante testo "Rompere gli schemi della depressione" (non solo per addetti ai lavori, quanto comprensibile anche ad una lettura interessata). Egli riflette sul fatto che nel modello occidentale, dal 45 in poi, il rischio di ammalarsi di depressione è avanzato rispetto ai nati ad inizio secolo; così come il dato della sua precoce insorgenza. M.D.Yapko osserva che il fattore biologico, primario imputato della depressione, oggi viene superato dai mutamenti sociali veloci e drammatici che coinvolgono specifiche classi di età.  
Il dato molto confortante che egli ci porta è, d'altra parte, che proprio per tali fattori condizionabili attraverso politiche di welfare, la depressione sia divenuta una patologia affrontabile e superabile! Pensiamo che soltanto qualche anno fa essa veniva definita" male oscuro".
  
Questo il quadro così complesso che ho voluto rapidamente visionare nel nostro attuale sociale, dal quale emerge una grande sofferenza della relazione e della interazione sociale ed umana che ci caratterizza e connota, e che, proprio per questo, ci deve far  fare i conti; sospinti come siamo verso un iper-individualismo e chiusura, ricercando surrogazioni di relazioni o relazioni virtuali.
Tentando soluzioni ai problemi che ne creano dei peggiori; trovando nell'esercizio della parola ridondata e ripetuta l'illusione del cambiamento.
Questi mali profondi sociali ci richiamano tutti a darne risposte abili.Questo deve essere il senso della  parola responsabilità rivisitata con il senso di "abilità di responso", ossia di risposte:ad un livello di elevata attenzione politico-legislativa e pedagogica. Per promuovere, progettare ed attuare dispositivi e misure di protezione e prevenzione. Oltre che di cura!

FERMARE LA VALANGA che travolge il nostro sistema delle relazioni e della rete sociale lacerata.
Perchè  e cosa aspettare ancora? 

 Il primo approccio verso una proposta di cambiamento:per costruire visioni del cambiamento ed operarlo attraverso esperienze misurabili; per  ri-orientare in modo pratico e concreto i passi successivi. Il sistema sociale funziona come tutti i sistemi sul feedback costruttivo.
Perchè non imparare agendo?

 Un secondo approccio intelligente sociale ed integrato che alline costi reali e costi emotivi: riferirsi a modelli di successo di altre esperienze praticate in altri luoghi, dove si sono ottenuti risultati positivi e di riduzione dei fenomeni.  
Cosa aspettare ancora?
 
Investire in una pedagogia emozionale  che abbia funzione di prevenzione: i contributi di Daniel Golemann; di Howard Gardner; degli studi applicati di Daniel Stern, largamente praticati; progetti e contributi della psicologia italiana ed europea. I loro studi e ricerche applicate sottolineano il "ruolo dell'intelligenza emotiva" in quanto"meta-abilità": ossia abilità di altre abilità future:la condizione basilare emozionale come determinante per favorire altre capacità cognitive  e logico-creative.
Perchè aspettare ancora?             

Impostare politiche sociali di cura e riabilitazione. La psicoterapia con i suoi differenti approcci è luogo di scoperta e di conoscenza entro cui ri-formulare e ri-plasmare l'esperienza di disagio. E' la nostra conoscenza fiduciosa sull'apprendimento continuo e dinamico ad ispirare questo tipo di interventi, con buone prospettive di ri-abilitazione verso una vita più consapevole. 
Cosa aspettare ancora?
 

A presto
La Vostra Annamaria

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